Bartolomeo Sanvito
(Sanvido, da San Vito), Padova, 1435-1511
Copista e miniatore.
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Rapporti con Pomponio e i Pomponiani
Sanvito potrebbe aver forse conosciuto Pomponio Leto durante il soggiorno di quest'ultimo nel Veneto, dal 1465 al 1468 (de la Mare 1999, 508 n. 85). Comunque è a Roma e almeno dalla fine degli anni sessanta del Quattrocento che Sanvito sembra aver collaborato come copista con Pomponio Leto (Ruysschaert 1969, 263-264; Pade 2007, 32), come testimoniano alcuni codici copiati da Pomponio Leto in cui le rubriche in maiuscola antiquaria variopinta sono state appunto attribuite al copista padovano: si tratta del gruppo di codici vergati dal Leto per Fabio Mazzatosta probabilmente tra il 1469 e il 1471 (Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 3264, 3279, 3285, 3302, 3875) e dei manoscritti Roma, Biblioteca Casanatense, 15 (Pade 20082); London, British Library, Sloane 777 e King's 32 (Pade 2007, 25 n. 3; Piacentini 2007, 103 n. 32, 128); sembra, inoltre, che Sanvito abbia aggiunto un disegno nel codice BAV, Vat. lat. 3233 (Miglio 2007, x). Dal punto di vista paleografico, è probabile che Sanvito e il Leto esercitarono un'influenza reciproca sulla loro grafia (Pade 2007, 32).
Sanvito ha lavorato all'allestimento di alcuni codici anche per i pomponiani Partenio Minucio Pallini – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3595 e alcuni fogli del Vat. lat. 3274 (Piacentini 2007, 128-129, n. 93) – ed Emilio Boccabella, alias Lelius Antonius Augustus – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3255 e Ottob. lat. 2014 (Piacentini 2007, 129, n. 94).
Vita
Bartolomeo Sanvito, figlio di Alvise e Benvenuta, nacque a Padova nel 1435 da una famiglia originaria del Trentino, che si era trasferita a Padova nel XIII secolo, assumendo il nome della località di San Vito di Brenta (attualmente frazione del Comune di Vigonza in provincia di Padova), dove aveva acquistato i poderi. La sua data di nascita si desume da una polizza degli Estimi antichi conservati nel Museo Civico di Padova, datata 23 novembre 1442, in cui il padre Alvise elenca fra i figli "Bartolomio me fiollo de anni sette" (De Kunert 1907, 1-2, n. 2, polizza 49). Il suo stemma è rappresentato da uno scudo d'argento con capriolo di verde, accompagnato da tre gigli di rosso (De Kunert 1907, 1, n. 1). Nato da una famiglia di professori e notai di declinante fortuna, Sanvito cresce nell'ambiente universitario ed è subito segnato dal crescente interesse antiquario della Padova intellettuale artistica del tempo. Fin dalla fine degli anni cinquanta, infatti, egli modella la scrittura e la mise en page dei suoi manoscritti sull'esempio dei codici tardo-antichi e altomedievali, ispirandosi a iscrizioni e monumenti romani per la scrittura maiuscola e per la decorazione di frontespizi e iniziali maggiori. La realizzazione più innovativa e celebre di Sanvito è la codificazione di una scrittura libraria corsiva, che nel suo ulteriore sviluppo degli inizi del Cinquecento verrà chiamata nei trattati di scrittura "cancelleresca italica" o solo "italica". Si tratta di una scrittura che di base è un'umanistica corsiva, modellata sulla tradizione grafica della cancelleria veneziana, che ha come esponenti principali Sebastiano Borsa e Michele Selvatico (Zamponi 2004, 478-479, n. 37; Zamponi 2006, 56, n. 58), e di umanisti e antiquari come Guarino Veronese e Ciriaco d'Ancona (Zamponi 2004, 475-476, 479-481; Zamponi 2006, 56-57), influenzata a sua volta da elementi greco-bizantini. Sanvito la rinnova e la rielabora come alternativa alla scrittura antiqua creata dagli umanisti fiorentini del primo Quattrocento e ormai codificata come scrittura del codice umanistico. A quest'ultima, infatti, Sanvito affianca molto presto la nuova corsiva "all'antica" dei suoi esordi e già negli anni sessanta scambierà il ruolo delle due scritture, facendo della corsiva la scrittura per le copia dei testi e ricorrendo all'antiqua sempre più di rado, principalmente per le scritture d'apparato o per la copia di testi devozionali o poetici. Estremamente elegante e ariosa e altamente formalizzata, questa nuova corsiva sarà forse presa a modello per il carattere italico stampato da Aldo Manuzio (Osley 1965; Barker 1998, 95 n. 1, 104, 107) ed era sicuramente tanto apprezzata dai suoi contemporanei da venire abilmente imitata da almeno due copisti: il mantovano Guido Bonatti (de la Mare 1999, 501; de la Mare 2002, 483-486) e il romano Antonio di Domenico da Toffia, detto Tofio (de la Mare 1999, 499; de la Mare 2002, 463; Caldelli 2006, 98-99; Piacentini 2007, 127), al quale sono stati a lungo ed erroneamente attribuiti alcuni manoscritti vergati da Sanvito in età giovanile.
Nella sua ricerca di una nuova estetica, Sanvito abbandona precocemente la tradizionale decorazione del manoscritto umanistico a bianchi girari e concepisce il cosiddetto frontespizio "all'antica", con il titolo o il testo inseriti in raffinate edicole, tabelle o cornici architettoniche decorate con elementi mutuati dall'iconografia classica (Zamponi 2006, 65-66, n. 81). Il primo testimone a noi giunto di questo nuovo impianto decorativo pienamente formato è un codice approntato intorno al 1460 per il cardinale d'Aquileia Ludovico Trevisan, esemplato interamente su pergamena purpurea in inchiostro metallico color oro e argento (De Nicolò Salmazo 1999; Zamponi 2006, 66, n. 82). Ma i primi esempi del nuovo tipo di decorazione si trovano già nel manoscritto Deventer, Athenaeum of Stadsbibliotheek, I 82, con testi di Properzio e databile 1453-1454 circa (de la Mare 1999, 496, n. 16; Zamponi 2006, 49, n. 40), e Oxford, Bodleian Library, Can Class. lat. 161, contenente la Polystoria di Giulio Solino, trascritta per Bernardo Bembo nel 1457, in cui appare un frontespizio architettonico in forma molto semplice (Mariani Canova 1999, 220-221).
Collaborando con alcuni dei più importanti miniatori del nord Italia, quali Marco Zoppo, Giovanni Vendramin, Franco de' Russi, Antonio Maria da Villaflora e soprattutto Gaspare da Padova (con il quale realizza uno dei più riusciti connubi artistici della storia del libro), confeziona codici di lusso destinati ad una committenza più o meno elevata, ma sempre all'interno della cosiddetta élite degli umanisti o di raffinati bibliofili. In effetti i suoi manoscritti contengono per lo più testi classici o comunque adeguati al gusto umanistico (come le opere volgari del Petrarca), anche se non mancano i testi religiosi (come Libri d'Ore o, più raramente, Evangelari).
Durante la prima fase di attività che Sanvito svolge a Padova, dove risulta attestato da un documento del 1462 (Dal Santo 1999, 584) e dove viene a precoce contatto con il fervido ambiente universitario e il clima di appassionato revival antiquario propugnato dagli squarcioneschi, Sanvito stringe rapporti con importanti esponenti della cultura e della politica veneziana, quali l'amico e committente Bernardo Bembo, il patrizio Marcantonio Morosini, cliente privilegiato di Sanvito dal 1460 al 1464 circa (de la Mare 1999, 497; de la Mare 2002, 495-496, 495), e il cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota detto Trevisan, patriarca di Aquileia dal 1439 al 1465 (Bentivoglio Ravasio 2004, 928). Bembo, allora studente, ha perfino ricordato Sanvito come padrino di battesimo di un suo figlio nato verso il 1457-1458 e chiamato in suo onore Bartolomeo, come attesta a c. 43r il suo zibaldone, ora Londra, British Museum, Additional 41068 (Wardrop 1963, 29-30; Giannetto 1985, 102-103; Bentivoglio Ravasio 2004, 928).
Dunque è a Padova, a partire circa dal 1453, che Sanvito verga i suoi primi codici, la cui successione ricostruita da Albinia de la Mare (de la Mare 1999) mostra un rapido accrescimento stilistico e una costante tensione sperimentale che rivoluzionerà l'aspetto dei manoscritti umanistici.
Fra la fine del 1464 e gli inizi del 1465 Sanvito lascia una prima volta la città natale per Roma (de la Mare 1999, 499). Con ogni probabilità egli fa parte di quel drappello di intellettuali e diplomatici veneti che raggiungono l'Urbe in seguito all'elezione del veneziano Pietro Barbo a papa Paolo II (1464-1471), e forse era già entrato in contatto con il suo futuro patrono Francesco Gonzaga (cardinale dal 1461 e a Roma dal gennaio 1462). Questo sembra infatti suggerire il primo codice con armi gonzaghesche scritto da Sanvito probabilmente intorno al 1460, conservato nella Biblioteca Nazionale di Torino con segnatura J.II.5 (de la Mare 1999, 497; de la Mare 2002, 461, n. 3), e la constatazione che con tutta probabilità Bartolomeo è stato a Padova nel 1459 in occasione della Dieta cui partecipò anche il giovane Gonzaga. Inoltre, benché non vi siano testimonianze dirette di una loro relazione, Sanvito potrebbe allora aver conosciuto anche il segretario del cardinale, Niccolò Perotti (Pade 2007, 35). A Roma Sanvito rimane fino al 1466, ma nel 1465 ha forse visitato Firenze, dove avrebbe copiato un codice contenente la Vita Alphonsi Regis di Giovanni della Casa per Piero de' Medici, il W 405 della Walters Art Gallery a Baltimora (de la Mare 1999, 500).
Fra aprile e ottobre 1466 Bartolomeo rientra a Padova, ma forse si ferma prima a Mantova, dove avrebbe lavorato per il cardinale Francesco Gonzaga, copiando il manoscritto London, Victoria and Albert Museum L. 2464-1950, contenente l'Ars completa geomantiae (Chambers 1992, 184; de la Mare 1999, 500). Sanvito è attestato a Padova da un importante documento del 17 ottobre 1466 (Signorini 2009), in cui egli compare come scriba e testimone di un accordo tra Bernardo de Lazara e il pittore Pietro Calzetta per la decorazione della cappella del Corpus Christi nella Basilica di S. Antonio a Padova, con affreschi e una pala d'altare con pittura su tavola del "Molino Sacro" (cioè il Mulino delle Ostie). Fra i testimoni figurano Francesco Squarcione, che fornisce un disegno del defunto allievo Niccolò Pizzolo quale modello per l'inconsueto soggetto della pala, e Bartolomeo Sanvito, responsabile della stesura dell'atto e dello schizzo a penna su carta che riproduce l'opera di Pizzolo.
Entro il maggio 1469 Sanvito è di nuovo a Roma, dove risiede per più di trent'anni e dove lavora per i maggiori patroni ecclesiastici dell'epoca, compreso papa Sisto IV della Rovere (1471-1484). L'unica menzione a noi pervenuta del lavoro di Sanvito nel registro dei conti della Vaticana risale proprio al pontificato di Sisto IV: si tratta del pagamento effettuato in suo favore nell'8 gennaio 1478 dal bibliotecario della Vaticana Bartolomeo Platina, per la copia e la decorazione di un manoscritto, ora Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1888 (Ruysschaert 1969, 268, n. 6; Ruysschaert 1986, 43). Sulla scorta del sodalizio professionale con il conterraneo Gaspare da Padova (detto anche Romano), Sanvito diviene protagonista della produzione libraria all'antica della capitale. Al pari dello stimato miniatore, egli compare come familiaris et continuus commensalis nel testamento del cardinale Francesco Gonzaga (Chambers 1992, 136) e nella corrispondenza relativa alle sue esequie (Chambers 1992, 190-191), nella quale Bartolomeo è nominato con la qualifica di "seschalco" (o senescalco), ovvero di Maestro di cerimonie che precedeva le vivande servite in tavola (Chambers 1992, 14-15, n. 83). Così risulta anche da due lettere scritte nell'autunno 1478 dal segretario del Gonzaga (nonché ammiratore e committente di Sanvito) Giovanni Pietro Arrivabene al fratello del cardinale, marchese Federico. Dalla prima, ora Mantova, Archivio di Stato, Archivio Gonzaga, b. 846, f. 302 (Chambers 1984, 418 n. 121), scritta da Cento il 26 novembre, si scopre che Bartolomeo aveva accompagnato il suo signore a Bologna (dove il Gonzaga era legato pontificio) e che fra la fine di agosto e il 26 settembre 1478 ne aveva approfittato per fare un salto a Padova. Dalla seconda (Mantova, Archivio di Stato, Archivio Gonzaga, b. 1141, f. 565 (Chambers 1984, 418, n. 121), spedita da Bologna il 3 dicembre, si apprende che il calligrafo era rientrato in città e che era finalmente a disposizione per la realizzazione di un "officiolo" da tempo richiestogli dal marchese.
Scomparso il cardinal Francesco (21 ottobre 1483), Sanvito trova nuovo impiego presso la Curia papale, dove dal maggio 1487 al 20 maggio 1488 risulta far parte del collegio dei sollecitatori "litterarum apostolicarum" (Bentivoglio Ravasio 2004, 930); mentre un documento redatto a Padova in sua assenza nel 1492 ci informa che Bartolomeo era diventato camerario apostolico e maestro di casa del cardinale di San Giorgio Raffaello Sansoni Riario, nuovo mecenate del calligrafo (Sambin 1966, 274). Dunque nel 1492 Sanvito era sicuramente chierico (e forse già lo era nel 1487-1488). Un'altra importante testimonianza di questi anni è quella contenuta nella celebre lettera del 5 luglio 1488, scritta dal segretario di papa Innocenzo VIII, il fiorentino Alessandro Cortesi, a Lorenzo de' Medici e che definisce Bartolomeo "lento e pigro" perché non si decideva a concludere l'esemplare di dedica della prima recensione della silloge epigrafica del veronese fra' Giovanni Giocondo, per l'appunto destinata al Magnifico (Pintor 1907, 25-26; Ruysschaert 1986, 42; de la Mare 1999, 503, n. 129). In un momento imprecisato, ma certamente compreso tra il febbraio 1501 (data dell'ultimo manoscritto prodotto a Roma, ora Biblioteca Apostolica Vaticana, Patetta 380) e il 22 ottobre del 1506, Sanvito fa ritorno a Padova, dove per quanto anziano e vessato dall'artrite, continua a lavorare fino alla morte, sopraggiunta il 18 luglio 1511 (Piovan 1998). In effetti un lieve tremolio comincia a comparire nella scrittura di Sanvito a partire dalla fine degli anni ottanta del Quattrocento e diviene sempre più evidente con l'avanzare del tempo (de la Mare 1999, 503-504): il tremito della mano del copista era probabilmente dovuto all'artrite di cui soffriva, come attesta una nota riportata nel suo diario andato perduto (De Kunert 1907, 14 num. 56, 70). Da una polizza riportata in questo memoriale si apprende, inoltre, che nel 1507 Sanvito era canonico della chiesa dei Santi Nazario e Celso a Brescia (De Kunert 1907, 2 n. 2), carica poi dismessa a favore dell'analogo beneficio ottenuto sicuramente prima del maggio 1508 presso la collegiata di Santa Giustina di Monselice a Padova (De Kunert 1907, 10 num. 36).
Manoscritti
La produzione di Sanvito conosciuta è particolarmente ampia: nei lavori sul copista padovano di Albinia de la Mare, ai quali rimando per le informazioni sui codici (de la Mare 1999; de la Mare 2002), risultano attribuiti a Sanvito centodiciassette manoscritti completi – ed è ora possibile aggiungerne un altro copiato dal copista padovano in età giovanile (Cecconi 2008; Cecconi 2009) –, sei codici da lui scritti in parte o con suoi interventi testuali, sessanta in cui ha aggiunto scritture d'apparato nelle sua celebre maiuscola antiquaria. Sappiamo, inoltre, che ha illustrato non solo molti dei manoscritti tra quelli da lui copiati o rubricati, ma che forse è intervenuto in altri manufatti solo come miniatore.
Bibliografia
I due studi imprescindibili su Sanvito sono de la Mare 1999 e de la Mare 2002.
Per la biografia si veda Bentivoglio Ravasio, 2004.
Altri studi importanti sono:
Silvio De Kunert, 1907; Fairbank 1962; Fairbank 1963; Wardrop 1963.
Tammaro De Marinis, "Nota per Bartolomeo Sanvito calligrafo del Quattrocento," Mélanges Eugène Tisserant, IV (Città del Vaticano 1964), 185-188.
Alfred Fairbank, "Bartolomeo San Vito," Calligraphy and Palaeography: Essays presented to Alfred Fairbank on his 70th Birthday, ed. by Arthur Sidney Osley (London 1965), 264.
Alfred Fairbank, "More of San Vito," Journal of the Society for Italic Handwriting 42 (1965), 6-12.
Ruysschaert 1969.
Alfred Fairbank, "Sanvito and Tophio," Journal of the Society for Italic Handwriting 68 (1971), 7-9.
Alfred Fairbank, "Antonio Tophio & Bartolomeo San Vito," Essays in Honour of Victor Scholderer (Mainz 1970), 159-164.
Ruysschaert 1986.
Ellen Cooper Erdreich, "Qui hos cultus… pinxerit". Illumination Associated with Bartolomeo Sanvito (c. 1435 – c. 1512), PhD. dissertation, Baltimora, Johns Hopkins University, 1993.
Francesco Piovan, "La data di morte di Bartolomeo Sanvito," Italia medioevale e umanistica 38 (1998), 335-336.
Gennaro Toscano, "Gaspare da Padova e la diffusione della miniatura "all'antica" tra Roma e Napoli," La Miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento. Catalogo della Mostra a c. di Giovanna B. Molli et all. (Modena 1999), 523-531.
Silvia Maddalo, Sanvito e Petrarca. Scrittura e immagine nel codice Bodmer (Messina 2002).
Andrea Cappa, "Umanesimo, passione antiquaria e produzione libraria fra Padova e Roma a metà '400: il Giulio Cesare casanatense," Schol(i)a 2 (2004), 54-105.
Caldelli 2006, 100.
Laura Nuvoloni, "L'impresario del libro. I codici londinesi di Bartolomeo Sanvito," Alumina 16 (2007), 18-25.
Cecconi 2008.
Cecconi 2009.
Albinia C. de la Mare - Laura Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito. The Life and Work of a Renaissance Scribe, a c. di Anthony Hobson, forthcoming.
Michela Cecconi
12/10/2009
This entry can be cited as follows:
Michela Cecconi, "Bartolomeo Sanvito," Repertorium Pomponianum (URL: www.repertoriumpomponianum.it/pomponiani/sanvito_bartolomeo.htm,